
C’è una frase che negli ultimi anni sentiamo ripetere ovunque: “il cliente è al centro”. Lo dicono i ristoranti, gli hotel, i grandi brand, le aziende tech, persino le banche. Ma basta grattare un po’ la superficie per accorgersi che spesso è solo marketing. In realtà, il cliente continua a essere un numero, gestito con procedure rigide e automatismi che di personalizzato hanno ben poco.
Lo stesso accade nel mondo della scrittura online. Ci dicono che i contenuti sono fondamentali, che la qualità premia, ma poi tutto gira intorno alla SEO, alle parole chiave, agli algoritmi di Google. Il valore di un articolo non si misura più da quanto sia interessante o utile, ma da quanto riesca a scalare le SERP. Così ci ritroviamo con pagine web piene di testi ripetitivi, ottimizzati per i motori di ricerca ma svuotati di sostanza.
Non si tratta di un problema isolato. È una mentalità che ormai domina ogni settore: si dichiara una cosa e se ne fa un’altra, con qualche abbellimento per rendere tutto più digeribile. Ma possiamo davvero chiamarla innovazione, quando in realtà stiamo solo aggiornando il packaging senza cambiare il prodotto?
L’illusione dell’innovazione: ottimizzazione senza sostanza
La SEO e la customer experience hanno molto in comune: entrambe promettono di migliorare l’esperienza delle persone (o meglio, del cliente pagante), ma spesso si riducono a una questione di numeri e metriche.
Nel web writing, l’ossessione per l’ottimizzazione ha creato articoli che sembrano più frasi in codice che testi per esseri umani. Frasi studiate per contenere la parola chiave esatta, titoli pensati per attirare clic, testi costruiti per trattenere l’utente quei famosi secondi in più che migliorano il ranking. Ma alla fine, il lettore cosa si porta a casa? Spesso nulla di realmente utile, perché il contenuto è stato scritto per l’algoritmo, non per lui.
Nell’hospitality e nella ristorazione succede lo stesso. Si parla di “esperienze su misura”, di “personalizzazione totale”, ma poi il servizio resta standardizzato. L’unica differenza è che oggi gli hotel inviano email automatiche con il nome del cliente, o che un chatbot chiede “Come possiamo rendere il tuo soggiorno speciale?”—senza che dietro ci sia un vero ascolto o un interesse reale, se non per un guadagno immediato.
Alla fine, tutto ruota attorno allo stesso concetto: si prendono modelli preconfezionati, si aggiunge un tocco di tecnologia e si presenta tutto come fosse la rivoluzione del settore.
La tecnologia non è neutra: il sistema impone la sua logica
C’è un’idea diffusa secondo cui la tecnologia è solo uno strumento, neutrale, che possiamo usare bene o male. La realtà è diversa. La tecnologia impone il suo modo di operare, modifica il nostro modo di pensare e spesso ci costringe ad adattarci alle sue logiche, non il contrario.
Nella scrittura per il web, questo significa che non possiamo ignorare la SEO, perché senza ottimizzazione un articolo rischia di essere invisibile. Nel settore dell’ospitalità, significa che non possiamo più ignorare l’automazione e il CRM, perché chi non li usa viene percepito come antiquato.
Ma il problema è che quando tutto viene ridotto a dati, metriche e KPI, ci si dimentica dell’elemento umano. Si lavora per soddisfare gli algoritmi e i dashboard aziendali, non per creare un’esperienza realmente significativa.
Empatia e professionalità: l’unico margine di manovra
Se il sistema è questo, possiamo solo scegliere come muoverci al suo interno. Non ha senso illudersi di poter “ribaltare le regole”, ma si può trovare un equilibrio tra ottimizzazione e qualità.
- Nella scrittura per il web, significa usare la SEO senza esserne schiavi: scrivere contenuti che siano effettivamente utili, con un linguaggio naturale, senza riempire i testi di parole chiave forzate.
- Nell’ospitalità, significa non confondere la personalizzazione con l’automatizzazione. Un servizio realmente di qualità non è quello che usa il nome del cliente ogni tre frasi, ma quello che sa interpretare i suoi bisogni in modo autentico.
La chiave non è “costruire relazioni autentiche”, un concetto ormai logoro e privo di significato. La chiave è conciliare empatia e professionalità. Essere in grado di leggere oltre i dati e le metriche, per capire cosa serve veramente a chi sta dall’altra parte.
Ma la verità è che il singolo può fare ben poco se chi decide continua a privilegiare le metriche rispetto alla sostanza. Senza un reale cambio di mentalità ai vertici, chi cerca di lavorare con qualità rischia di combattere contro i mulini a vento, come un moderno Don Chisciotte. E, paradossalmente, potrebbe persino essere strumentalizzato dal sistema stesso: usato come specchietto per le allodole, come quei testimonial che servono solo a dare una parvenza di legittimità a un modello che, in realtà, non ha nessuna intenzione di cambiare.
Non è una battaglia alla pari, perché il sistema è strutturato per favorire chi si allinea ai suoi meccanismi. Ma almeno possiamo scegliere di non diventare semplici ingranaggi, trovando spazi di manovra per fare un lavoro che abbia ancora un senso.